Ultimo libro di Anne-Marie Wille

LA STANZA, la terapia psicomotoria raccontata attraverso lo spazio e gli oggetti

Editore Fabbrica dei Segni -2023

Recensione di Marina Massenz

Terapista della neuropsicomotricità, Formatrice, Responsabile del centro Kadamà di Milano


Questo nuovo libro di A.M.Wille ci porta direttamente dentro la stanza di psicomotricità, ma anche dentro la sua storia professionale e personale che si sviluppa con ammirevole coerenza nell’arco di molti anni, dalla fine degli anni sessanta a tutt’oggi.

L’autrice si definisce una terapeuta della psicomotricità (che è anche la definizione europea di questa professione) e con ciò si colloca in modo personale rispetto ad altri approcci o definizioni con cui viene connotata oggi questa professione.

Una professione che per A.M.Wille non si rivolge soltanto all’età evolutiva, ma all’intero arco della vita, quando è importante un approccio in cui l’implicazione corporea sia necessaria. Si lavora con il corpo e il movimento, si comunica anche consapevolmente con il linguaggio non verbale ed è necessaria sempre l’implicazione e la consapevolezza corporea da parte del terapeuta. Non mi soffermo sulla presentazione di questa professione, per la quale rimando al libro in cui, nella prima parte, viene trattato questo argomento. L’autrice ci racconta anche della sua formazione, ma sa bene che, dopo molti anni di esperienza, il metodo appreso si è aggiornato e modificato grazie a questi e nel suo caso, direi, anche grazie alla continua attività di studio e di ricerca che A.M.Wille ha svolto in tutti questi anni.

Un testo così corposo e ricco di contenuti non può a mio parere essere recensito completamente ma, secondo la mia scelta dettata anche dal titolo del testo, in modo parziale, cercando un focus che, in questo caso, non può essere che la stanza.

Perché stanza e non sala ad esempio? “La Stanza è un luogo più intimo, più misterioso e meno pubblico della sala, anche perché la terapia psicomotoria che vi si pratica si rivolge soprattutto a singoli individui” (p.13). Perciò d’ora in poi scriverò questa parola con la maiuscola perché è un luogo speciale, in cui avvengono incontri con invitati, che non sono solo i bambini, ma anche i partecipanti ai corsi di formazione psicomotoria. Attività formativa  che è legata all’apertura dell’Istituto di Psicomotricità, nel 1977. L’autrice li chiama invitati perché le piace pensarli come ospiti di riguardo, per i quali allestisce la stanza e che riceve preparando l’ambiente con cura.

All’inizio del suo lavoro ha dovuto adattarsi a diverse sedi e ambienti per svolgere le sedute; tutte inadatte, perché troppo piccole, o rumorose, o non riservate… comincia così la sua ricerca della stanza perfetta, attraverso esperienze successive tra le quali mi piace ricordare quella del cravattificio. In questo seminterrato, finalmente ampio e abbastanza luminoso, nasce l’idea della Stanza vuota, da arredare prima di ogni seduta secondo gli obiettivi dell’intervento, fondata sulla convinzione che lo scenario influenzi il comportamento degli invitati. Qui, nel 1977, l’autrice organizzò il primo corso biennale di psicomotricità, unendo all’attività terapeutica quella di formatrice. In questo spazio A.M.Wille trovò già un lungo tavolo sul quale gli operai tagliavano le cravatte, di due metri e mezzo di lunghezza, che venne utilizzato poi per svolgere le parti teoriche della formazione; intorno a questo tavolo si sarebbero disposti gli allievi, dandole la possibilità di studiare dal vivo la prossemica, ossia la comunicazione non verbale tramite l’uso dello spazio. Le osservazioni dal vivo le permisero di notare, ad esempio, come durante tutta la durata del corso i partecipanti tendessero ad occupare sempre lo stesso posto e come vi fosse una stretta relazione tra l’ubicazione del singolo partecipante, il suo temperamento e il tipo di rapporto che stabiliva con la docente.

La Stanza è dunque il luogo in cui si svolgono gli incontri; ogni elemento dell’ambiente influenza le azioni e i vissuti dell’esperienza. La Stanza a cui dopo varie esperienze finalmente l’autrice approda è la Stanza perfetta, (p.131), allestita secondo criteri ben precisi; ampia, calda, accogliente, con un pavimento di parquet, armadi e ripiani per contenere gli oggetti della psicomotricità, con la giusta luce “perché sia sempre giorno” e il rumore che non sia quello esterno, ma solo quello prodotto dal terapeuta e dall’invitato (voci, spostamenti, rumori degli oggetti, …). Suoni dunque che, a fianco del silenzio, punteggiano gli avvenimenti e le azioni (verbali, motorie, non verbali…) che intercorrono tra i due soggetti presenti, nel loro differente ruolo. Una Stanza costruita con pensiero e affetto dall’autrice, che l’ha pensata come luogo ideale per lo svolgimento degli incontri. Sullo scenario stabile si innestano gli scenari d’accoglienza che aprono le sedute di psicomotricità, in modo specifico per ogni bambino, con l’idea di predisporre un allestimento che ne solleciti indirettamente gli aspetti evolutivi. La “regista” – cioè la terapeuta – ha in mente con questi scenari il progetto che ha per ogni “invitato” o “invitati” nel caso della formazione.

In questo contesto situazionale, la Stanza, si svolgono le mosse interattive e si sviluppa il gioco tra bambino e terapeuta. Dice l’autrice: “Lo spazio della Stanza è disponibile proprio come la scena di un teatro. Anche senza spettacoli in corso resta lo scenario stabile: il palcoscenico, il sipario, le quinte, la platea, le logge…. Per ogni pièce che va in scena, poi, l’aspetto del palco cambierà”. “Nello scenario d’accoglienza, invece, l’autore e attore principale della pièce è l’invitato. E’ lui a creare sul momento il proprio testo, ispirato sia dalla fisionomia del luogo, ideata dal conduttore, sia del suo atteggiamento e dalle mosse interattive, mentre il conduttore è anch’esso attore, oltre che scenografo e regista”.

Lo scenario stabile, sobrio, ospita gli oggetti psicomotori basici con le loro diverse qualità; altri oggetti, gli oggetti alternativi, si trovano in armadi (tra essi gli strumenti musicali così importanti nella pratica dell’autrice) e vengono tirati fuori e predisposti per allestire di volta in volta quelli che sono gli scenari d’accoglienza. Questi scenari favoriscono e preservano la spontaneità dell’azione, nella ricerca del nuovo, già pronto all’uso nel potenziale evolutivo dell’invitato, per cui l’ambiente crea l’occasione per la sua crescita. Si sviluppano giochi funzionali, simbolici, percettivi, sempre in interazione con la terapeuta. Anche se ferma e silenziosa, come può avvenire in certi casi, è sempre a livello non verbale la compagna di gioco a cui ci si rivolge o in presenza della quale si gioca.

Ma lo scenario viene utilizzato anche per specifiche sedute nell’ambito della formazione per gli allievi dell’Istituto di Psicomotricità. Nella descrizione dello scenario dei teli (p.173) ad esempio emerge con chiarezza come ogni soggetto si inserisca nella scena con modalità proprie e differenti e anche come, per chi osserva, non sia possibile raggiungere una descrizione oggettiva di ciò che vede, ma vi sia sempre un margine di ambiguità nell’interpretazione del linguaggi non verbali. Per osservare è necessario disporsi in uno stato di empatia con il soggetto osservato, evitando nel contempo di essere troppo proiettivi, mettendo i propri panni addosso a chi stiamo guardando.

“… il tpm deve sempre porsi con uno stato interiore di massima disponibilità e sospensione del giudizio e collocarsi in un’area ludica …”(p.193). Nel lavoro con i bambini lo scenario cambia nel corso del lavoro a seconda del progetto terapeutico e del suo evolversi. L’obiettivo principale è ricercare in psicomotricità l’armonizzazione di tre aree, che, secondo l’elaborazione dell’autrice, è costituita da tre sfere interagenti; la sfera motoria, la sfera cognitiva, la sfera psicoaffettiva. In una situazione che A.M.Wille ci racconta, ad esempio, compaiono anche giocattoli, (ammessi a volte specialmente se particolarmente investiti dal bambino). “Nel caso appena descritto è stato l’oggetto-giocattolo a favorire l’integrazione tra l’azione motoria, il senso simbolico-rappresentativo, il linguaggio verbale e il disegno: un apercu del concetto e dell’unità dell’espressione psicomotoria e dell’armonizzazione delle tre sfere… obiettivo principale della terapia psicomotoria.” (p.171).

In conclusione di questa mia breve presentazione voglio dire che questo libro può essere per tutti una lettura piacevole e interessante, dalla quale emerge non solo una ampia visione della nostra professione, così appassionante e ricca, ma anche la persona dell’autrice non solo nelle sue competenze professionali, ma anche per le doti di sensibilità, ascolto, accoglienza empatica del bambino, oltre alla capacità di mettere in gioco la propria creatività all’interno delle sedute. Qualità che, secondo me, ogni persona che già pratica o si sta formando per fare questo lavoro dovrebbe avere. Il bagaglio di preparazione professionale necessaria non è costruito solo dalle conoscenze teoriche specifiche o competenze pratiche, ma anche dalla reale capacità e disponibilità dei soggetti a mettersi in gioco nella relazione con i bambini.

Istituto di psicomotricità di Anne-Marie Wille nel 1977

Indirizzo
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